DALL'IDEA AL FATTURATO

Il viaggio che intraprenderemo oggi assieme qui sul nostro blog parte da un'idea e dalla persona che l’ha avuta come potrebbe essere, ad esempio, un aspirante imprenditore che sta leggendo questo articolo. Ora questa idea può essere ancora semplice, in fase embrionale, diciamo poco più che un’intuizione, oppure può presentarsi a noi in maniera già più strutturata, non importa. Ciò che importa è che la “pensata” abbia quel qualcosa di innovativo che le dona le potenzialità di diventare, in un futuro si spera non troppo lontano, un business, un progetto, un’azienda addirittura. In ogni caso, qualsiasi vestito vorremmo dare alla nostra business idea l’obbiettivo finale rimane uno solo, il guadagno, l’utile o ,per usare un termine che è ormai entrato nel linguaggio comune anche grazie al Milanese Imbruttito, il fatturato.
Prima di iniziare il nostro percorso necessitiamo una premessa più che doverosa: esso non è da intendersi obbligatoriamente lineare come esporremo quest’oggi. La “scaletta” del pezzo aiuta a spiegare e a seguire con più attenzione ma non è detto che i passaggi descritti debbano obbligatoriamente avvenire in maniera consequenziale, anzi molti di questi steps sono da intendersi come quasi contemporanei. Ci sono dei passaggi di fondamentale importanza che non possono essere trascurati o tralasciati e che, con la giusta organizzazione, sarebbe opportuno sviluppare in maniera simultanea.
Partiamo quindi dal inizio, ovvero dall’idea o business idea, idea imprenditoriale nella sua definizione più semplice. Un’idea di una attività commerciale che un imprenditore, o aspirante tale, realizza al fine di trarre degli utili per sé stesso e per gli eventuali investitori coinvolti. Su questo tema si fa spesso molta confusione tendendo ad identificare il concetto di business idea con quelli di innovazione assoluta e creazione di qualcosa che non esiste ancora. In verità non è sempre richiesta un’idea assolutamente innovativa. Esiste ovviamente anche la possibilità di creare un’azienda allo scopo di inserirsi in un mercato esistente offrendo però prodotti o servizi migliori della concorrenza. Sembrerebbe quasi che non ci sia una business idea alla base se non quella di copiare il lavoro di un’altra azienda, ma così non è.
Progresso e innovazione effettuano raramente grandi balzi che stravolgono il passato. Solitamente azienda ed imprenditore partono da un’idea perfezionandola di seguito nel tempo. Si pensi al caso dei personal computers o dei telefoni cellulari evolutisi in smartphones, ci si è arrivati per gradi. I laptop o telefonini che usate oggi non hanno nulla a che vedere con i primissimi prototipi, eppure sono praticamente identici ai rispettivi modelli precedenti, con qualche leggera variazione come un processore più veloce, più RAM, design rinnovato etc. etc.
La business idea può dunque essere sì una idea imprenditoriale che “cambia le regole del gioco“, molto spesso però parte da un’insieme di idee esistenti riviste sotto una nuova luce e non è neanche detto che questo nuovo spettro di luce sia così chiaro e visibile sin dall’inizio.
Provate a pensare per un attimo a Facebook (sempre che non vi ci siate già connessi in questo momento). Oggi consideriamo l’invenzione del social network “blu” come una pietra miliare, ma alla sua nascita fu solo il rapidissimo responso degli studenti americani che rese consapevole Mark Zuckerberg di avere per le mani qualcosa dal potenziale stravolgente. In molteplici situazioni la business idea è desiderio di soddisfare una esigenza di mercato, fornendo un prodotto o un servizio per il quale riteniamo ci sarà domanda, ciò che andremo ad offrire però non dovrà necessariamente scrivere un nuovo capitolo della storia dell’uomo. E importante invece identificare una nicchia di mercato dove esista la possibilità di soddisfare una richiesta. In alcuni casi potremmo essere noi stessi a creare la richiesta offrendo qualcosa di innovativo, in altri la nostra business idea potrebbe invece scaturire da una esigenza pre-esistente ed insoddisfatta (o mal soddisfatta).
Una volta che abbiamo determinato in maniera ben chiara quale sia la nostra business idea, arriva il momento di metterla alla dura prova del raziocinio. E’ fin troppo facile per l’imprenditore inesperto convincersi di avere un’idea vincente, unica ed infallibile ma, qualsiasi direzione abbia preso il nostro pensiero, dobbiamo metterlo alla prova mediante un’analisi approfondita. E’ importantissimo porsi, e perché no anche farsi porre dato che i feedback sono sempre molto utili, mille e più quesiti per capire se davvero la business proposition che abbiamo per le mani sia valida e quindi in grado di creare un’attività imprenditoriale capace di generare valore aggiunto e flussi di cassa. Attenzione però, non tutte le business ideas si riveleranno validi business case. A volte bisogna saper abbandonare un’idea imprenditoriale fallimentare con la stessa facilità con la quale ce ne siamo, con ogni probabilità, inizialmente innamorati. Al contempo se esiste una business idea non dobbiamo illuderci, la sua realizzazione potrebbe non essere affatto facile.
Tenacia e testardaggine sono quindi due attributi importanti, ma solo previa un’accurata analisi di mercato o market analysis. Essa è fondamentale per capire dove la nostra idea si colloca, o potrebbe collocarsi, nel panorama di quanto già esiste. Capita quindi spesso di credere di avere partorito qualcosa di unico, una business idea strabiliante per scoprire poi, dopo una veloce ricerca su internet, che qualcun altro aveva già pensato alla stessa cosa. In questo caso dobbiamo capire se questo concorrente, reale o potenziale che sia, ha un’idea protetta da brevetto e quindi non replicabile. Se così non fosse il passaggio successivo è quello di chiedersi su quale mercato operi questo concorrente, se è vicino o distante da quello in cui noi stessi vorremmo inserirci e, soprattutto, se il nostro ed il suo target coincidono in qualche modo.
Scoprire dell’esistenza di un concorrente già avviato non è certamente una buona notizia, ma proviamo a valutarla e contestualizzarla. Innanzitutto può darci un riscontro immediato della validità della nostra business idea. Se la concorrenza ha successo sul proprio mercato potremmo decidere di offrire il nostro prodotto o servizio su un mercato differente. Se invece immaginavamo un lancio immediato su scala globale del prodotto non andrà sottovalutato il vantaggio del concorrente su questo mercato. In fine dei conti se non ci sono problemi di brevetti, si tratta solamente di capire se esiste un mercato sufficientemente grande per noi. Potremmo doverci collocare in un settore che ha già dei concorrenti diretti o paragonabili, in tal caso bisognerà concentrarsi sull’analisi delle nostre differenze rispetto alla concorrenza per calcolare poi la probabilità di conquistare una quota di quel mercato.
Se invece dovessimo scoprire che non vi è alcun concorrente, sarebbe opportuno domandarsi il perché? In questo caso converrebbe chiedersi se la nostra business idea sia davvero così innovativa, oppure il motivo che ha spinto altri , sempre persone con un idea simile alla nostra, a decidere che la domanda non giustificava il progetto.
Traggo spunto da queste ultime considerazioni per approfondire brevemente il tema “domanda di mercato”. Se il prodotto che abbiamo intenzione di lanciare è nuovo, o comunque innovativo, la domanda diventa una delle prime questioni da affrontare per importanza. Innanzitutto definire qual è il nostro mercato target, descritto per quante più segmentazioni possibili: età, sesso, professione, stato sociale, interessi ed altre metriche a seconda del prodotto o servizio. Tutto ciò dovrebbe aiutarci a definire la dimensione del nostro potenziale mercato. Mi raccomando ricordatevi sempre che la dimensione del mercato non descrive anche quella del pool di clienti che avremo. Una volta definita la dimensione del nostro mercato target possiamo iniziare a pensare a quale proporzione potremmo raggiungere, compatibilmente con costi e metodi di promozione nelle nostre disponibilità. Di questi soggetti solo una piccolissima parte sarà interessata al nostro prodotto ed ancora di meno ne diventerà cliente (1 su 100 in questo caso è una proporzione che rende l’idea). In questo ambito si vedono le più grandi sovra-stime ottimistiche, l’imprenditore neofita traccia sempre grafici con crescite lineari che rapidamente conquistano una quota di mercato enorme. Assicuratevi quindi che le stime che fate siano basate su dei dati per mercati o prodotti simili e non sul “sesto senso” o l’intuizione.
Più un mercato è consolidato e popolato di concorrenti, tanto sarà difficile entrare su questo mercato. La barriera d’ingresso sarà quindi molto “alta” dettata dal know-how e dagli investimenti che la concorrenza ha effettuato prima di noi. Entrare e guadagnare quote di mercato in una situazione del genere, con un brand nuovo, richiederà quasi sicuramente enormi investimenti di capitale. E’ solitamente più interessante, e meno dispendioso, identificare una nicchia “scoperta”, non ancora presidiata da concorrenti. In essa potremmo godere del vantaggio dettato dal fatto di essersi mossi per primi, ed essere eventualmente rincorsi anziché rincorrere. Affermandoci al suo interno come punto di riferimento, potremo far crescere il nostro brand e da li anche conquistare quote di mercato al di fuori della nostra nicchia. Il vantaggio iniziale però non durerà in eterno, e dovremo quindi includere queste valutazioni nella nostra analisi: come possiamo difendere la nostra business idea da nuovi potenziali concorrenti? Ancora peggio, la nostra innovazione potrebbe essere adottata dall’oggi al domani da concorrenti che hanno già un impianto di produzione consolidato. Questo è ancora più vero per i servizi di difficile protezione intellettuale come il brevetto per uno specifico prodotto. Nel caso dei servizi potremmo svolgere le nostre analisi senza considerare con quanta facilità un concorrente affine potrebbe replicare la nostra idea se non addirittura migliorarla.
Capire quanto possa durare il nostro vantaggio iniziale è impossibile, o quasi, dipende da così tanti fattori che è difficile analizzarlo per grandi linee. L’esperienza ci insegna che se la nostra business idea ha davvero un alto potenziale i concorrenti non tarderanno a palesarsi.
L’esperienza ci insegna, inoltre, quanto l’imprenditore innovatore pecchi spesso di un eccesso di entusiasmo e di ingenuità rispetto al mercato, quindi cercate di rimanere sempre con i piedi per terra e mantenere alto il livello di concentrazione. Proponetevi sempre di capire se la vostra idea è difendibile o se dovrete fare affidamento solo sulla vostra velocità di esecuzione. Maggiore è la replicabilità dell’idea, minore deve essere il tempo che occorre per guadagnarsi una quota di mercato. Una volta comparsi i concorrenti dovrete fare anche i conti con la riduzione dei vostri margini.
Benissimo, ora che abbiamo una business idea difendibile, anche solo temporaneamente, dobbiamo capire gli step necessari per portarla sul mercato ed avvicinarci al tanto agognato guadagno. Le grandi aziende portano nuovi prodotti sul mercato in continuazione. Il loro processo di go-to-market è una macchina rodata, dal design, alla produzione, dalla comunicazione, al marketing. I nuovi prodotti vengono rilasciati con strategie programmate per sfruttare al massimo ogni prodotto rilasciato prima dell’uscita di quello successivo. Tutto ciò viene fatto studiando il ciclo di vita del prodotto, della novità e le azioni della concorrenza.
Nel caso di un nuovo prodotto o servizio probabilmente la nostra business idea è una singola lampadina che speriamo di accendere concentrando così il nostro rischio in maniera notevole (una grande azienda può permettersi un prodotto con meno successo di altri). Una start-up mono prodotto o servizio conta sul successo almeno iniziale di una sola idea imprenditoriale, i fattori di rischio sono notevoli e devono essere giustificati da un’adeguata aspettativa di successo. Tutto ciò rientra in un accurato “studio di fattibilità” che non va assolutamente mai dato per scontato e deve sempre precedere il business plan.
Ogni azienda deve chiaramente definire il proprio business model e lo deve fare prima di passare dalla stesura di un business plan. Se avessimo l’intenzione di vendere servizi, quali sarebbero i canali di vendita e le modalità di erogazione? In caso di tratta di servizi online il nostro mercato sarebbe segmentato solo per lingua degli utenti. Con la vendita di servizi in persona la segmentazione diventerebbe anche geografica.
In quest’ottica rientra anche la scelta della forma giuridica da adottare, e quest’ultima può variare notevolmente a seconda della nostra business idea. Allo stesso modo non dovremmo sottovalutare la giurisdizione in cui vogliamo collocare il nostro business. Dipende molto ovviamente da dove si troveranno i nostri clienti iniziali e quelli potenziali successivi.
In fase di start-up è sempre preferibile la struttura più snella possibile a disposizione del nostro business. Se avremo successo, chissà, un giorno arriveremo ad una quotazione in borsa, ma non corriamo troppo con la fantasia. All’inizio dobbiamo saper contenere i costi e valutare fra tutte le opzioni quale ci permette di operare senza inutili oneri e complicazioni. Nella scelta della natura giuridica dobbiamo tenere inoltre conto di eventuali (si spera sempre) agevolazioni fiscali messe a disposizione dalla regione o dal governo. A livello italiano ed europeo vengono spesso indetti dei bandi rivolti alla costituzione, mediante agevolazioni fiscali, di nuove imprese e spesso occorre solo una buona preparazione e competenza per riuscire a definire la nostra business idea in maniera tale che rientri fra i bandi esistenti. Lo studio delle agevolazioni fiscali possibili non deve essere rimandato ma deve far parte della fase di analisi iniziale, precedendo la stesura del business plan perché potrebbe stravolgerlo nei contenuti. Lo scoprire in ritardo che la natura giuridica scelta non ha diritto ad un determinato finanziamento o bando potrebbe essere un errore costosissimo. Anche noi di Notarify abbiamo in passato sfruttato agevolazioni e bandi indetti, nel nostro caso, dalla Provincia Autonoma di Trento.
Veniamo ora alla parte un po' più pratica. Se l’idea è venuta a noi individualmente, prima ancora di arrivare a dettagliare un business plan dobbiamo capire di chi avremo bisogno per partire. Occorre definire un organigramma snello con quelle poche figure essenziali e iniziare a ragionare sul chi e su come reperirle. In un progetto che nasce da un gruppo di amici purtroppo spesso non tutti saranno adatti a ricoprire il ruolo in cui si ritroveranno. Anche questo può essere un grave errore che pregiudicherà lo sviluppo del nostro progetto, in primis definire i ruoli e solo successivamente identificare le persone con le giuste competenze per ricoprirli. Contestualmente serve anche avere compiutezza del valore di mercato di ciascun ruolo, se, sempre per continuare con l’esempio, un gruppo di amici può essere disposto a lavorare in cambio di sweat equity, lo stesso può non valere per un collaboratore esterno. Assumere una persona competente dal profilo manageriale è un costo difficilmente sostenibile in fase di start-up. In questo senso occorre valutare se alcuni dei ruoli possono essere ricoperti da una società di consulenza, almeno in fase iniziale, fornendoci la possibilità di confermare o disdire l’impegno economico fino a che la società non sarà avviata. A quel punto la società potrà iniziare ad assumersi oneri e responsabilità anche a lungo termine.
Sempre durante la fase iniziale dello sviluppo della nostra azienda potremmo decidere di subappaltare le operazioni ad una società esterna, avvalendoci però di opportuni non disclosure agreements. Il costo non sarà necessariamente superiore rispetto a quello per l’assunzione di varie figure sul mercato, e il guadagno in esperienza per la vostra neonata attività sarà grande. La società esterna tra l’altro può essere più facilmente vincolabile ad un risultato. Questo permette di mettere al riparo il capitale iniziale dall’eventuale incapacità del fornitore. L’assunzione di una risorsa interna invece sarà un costo da sostenere mensilmente eliminabile solo con la risoluzione del rapporto, nel caso in cui questa risorsa non si dimostri all’altezza del compito assegnatole.
Sotto questo profilo l’ego dell’imprenditore è spesse volte l’ostacolo più importante. Cercate di non proiettarvi anni luce nel futuro senza capire la vostra debolezza iniziale e la necessità (perché in questa fase di necessità si tratta) di mantenere una struttura malleabile e flessibile.
Avendo ora confermato e definito la business idea, effettuato un’accurata analisi di mercato e scelto il modello di business possiamo preoccuparci di stilare un business plan. Esso è il documento riassuntivo che dettaglia tutto ciò che concerne la nostra idea di business, definisce il piano di azioni, con relative scadenze e responsabilità che occorrerà implementare per portare alla luce la nostra idea imprenditoriale. In questo senso il business plan è lo step che trasforma la nostra idea in progetto, l’anello di congiunzione fondamentale nonché lo spunto principale per questo articoletto.
In questa ottica rientra anche l’analisi dei punti di forza, dei punti di debolezza, delle eventuali opportunità e delle possibili minacce per il nostro progetto imprenditoriale. Questo processo altresì detto SWOT Analysis (dall’inglese “Strengths, Weaknesses, Opportunities and Threats”) è tipico della dialettica del project management. Dato che, come già spiegato in precedenza, il lancio di una nuova impresa va gestito in maniera progettuale, questo tipo di analisi non può essere escluso dal nostro business plan.
Visto che la nascita di una nuova impresa, o di un nuovo ramo imprenditoriale di un’azienda esistente, richiede risorse va da se che l’investimento iniziale possa arrivare sotto diverse forme, che variano dal versamento di capitale da parte dei soci a finanziamenti di vario genere. Ricordatevi però che chi investe lo fa solitamente in attesa di un ritorno e bisogna cercare di predire cifre e tempistiche quantomeno verosimili.
Il cashflow, ovvero il flusso del denaro che entra ed esce, proposto nella maggior parte dei business plan è spesso irrealistico, l’imprenditore soventemente fatica a frenare il proprio entusiasmo e adottare pragmatismo. Per ovviare a queste problematiche mi sento di darvi un prezioso consiglio: stilato un primo business plan con analisi dei flussi di cassa, modificate le stime raddoppiando tempi e costi. La prima analisi tende a concentrarsi su clienti e crescita ma sottovaluta sempre tutti gli imprevisti che andremo ad affrontare. Il nostro business plan deve prepararci al peggio mentre auspichiamo, giustamente, il meglio.
L’analisi dei cashflow ci permette di calcolare un dato importantissimo: il “punto di massima esposizione”, ovvero il picco del cashflow negativo prima che il trend si inverta. Questo è l’importo che dobbiamo essere in grado di finanziare per poter affrontare il progetto. Questa cifra non può e non deve essere vicina al massimo delle risorse che siamo in grado di mettere in campo. Il “punto di massima esposizione” ci dice anche quale sarà il “buco” eventuale e l’ammontare complessivo delle perdite in caso di superamento del limite.
Il punto di break-even invece, successivo al punto di massima esposizione, determina il momento in cui i flussi di cassa tornano a zero, ovvero il momento in cui tutto quanto iniettato nella nostra idea imprenditoriale sarà stato coperto dal margine sul nostro fatturato. L’analisi del punto di break-even di cassa parte dai cashflow e non da una semplice analisi contabile. In altre parole i costi dovranno essere valutati per cassa e non per competenza. Ad esempio un investimento sull’acquisto di un macchinario viene ammortato in 5-10 anni, noi dovremo però essere in grado di comprarlo il primo giorno. Lavorare sul nostro business plan per ridurre il punto di massima esposizione significa anche anticipare il punto di break-even. Iniziare affittando un macchinario o comprandolo in leasing è una scelta molto prudente che riduce l’outlay al principio.
Guardando gli stessi dati da un punto di vista di competenze, naturalmente ci ritroveremo ad ammortare molti dei costi di impianto.
Questa analisi dello stato patrimoniale non ci fornisce dati sulla massima esposizione, ma ci permette di controllare gli investimenti in conto capitale spalmati per competenza. Questa distinzione è importantissima perché senza ragionare per competenza non potremmo mai calcolare la reale marginalità del nostro business. Di pari passo con l’analisi dello stato patrimoniale andrebbe prodotto un conto economico stimato, trimestrale o semestrale e che copra almeno i primi 3-5 anni.
Questa analisi contabile, stavolta si, ci fornirà i dati necessari sulla profittabilità della nostra business idea. E’ importantissimo avere molto chiara in testa questa analisi perché eventuali utili diventano tassabili e, senza una corretta allocazione dei conti per competenza, potremmo realizzare perdite iniziali ma trovarci poi con un utile distorto. Oltre tutto ciò, l’analisi del conto economico ci permette di analizzare costi fissi e variabili in base alla produzione. Il mio consiglio è quello di produrre sempre tre analisi degli scenari possibili: uno pessimista, uno atteso ed uno ottimista. Se lo scenario pessimista non risultasse in alcun modo sostenibile probabilmente è meglio astenersi dal partire con il progetto.
Ecco ora un altro aspetto fondamentale per il passaggio dall’idea al fatturato, probabilmente uno dei più importanti. Ogni nuova business idea, debitamente descritta nel business model, deve includere una strategia di marketing per il lancio. Farsi conoscere con un prodotto ed un brand nuovo non è affatto facile. Senza una strategia dettagliata ed efficace sarà stato inutile stimare dimensione del mercato e tassi attesi di vendita del nostro business. Se non raggiungiamo nostri potenziali clienti stiamo costruendo una cattedrale nel deserto destinata a fallire. Il marketing iniziale costituirà necessariamente una voce di spesa importante, non solo per importo economico ma anche per ruolo nel complessivo successo del progetto. La strategia dipende ovviamente dal tipo di attività imprenditoriale e sarebbe difficile darne una descrizione precisa senza portare ad ore ed ore il tempo di lettura odierno.
Dal momento in cui abbiamo la nostra business idea a quello in cui il primo prototipo del nostro servizio o prodotto sarà disponibile trascorrerà del tempo. Dopo lo sviluppo del primo prototipo dovremmo spingerci al nostro primo “minimum viable product”, “service“, ovvero ciò che ci consentirà di lanciare il nostro prodotto alfa sul mercato raccogliendo contestualmente importanti metriche sul responso dei nostri clienti target rispetto alle aspettative. Un lancio prematuro permette di “aggiustare il tiro” e rivedere le nostre analisi iniziali al rialzo o al ribasso. Raccolti questi dati, sempre che la nostra business idea si dimostri ancora vincente, continueremo con l’implementazione degli step del nostro business plan. In contemporanea svilupperemo il nostro prodotto o servizio, affinandolo nel tempo.
Una struttura organizzativa fluida e malleabile ci permetterà di riorganizzarci rapidamente in caso di sorprese. Per questo motivo è importante rimandare investimenti importanti in conto capitale il più avanti possibile. Per proseguire con l’esempio precedente sarebbe in questo caso meglio partire con un macchinario affittato anche a detrimento dei margini che impegnarsi in un investimento da ammortare in 10 anni, perché fino a che non avremo un loop di feedback dal nostro mercato non avremo neppure certezze. Se invece il mercato dovesse rispondere come atteso, allora il nostro business plan potrà prevedere di passare dalla produzione con mezzi terzi a quella con mezzi propri.
Non dimenticatevi che in un buon business plan è fondamentale la stesura dell’executive summary. In termini semplici si parla di riassumere l’opportunità di business, i suoi punti di forza, i possibili punti di debolezza ed eventuali minacce, presentando quindi la SWOT analisys oltre a tutti i dati finanziari. Fra questi ultimi dovranno essere compresi i già citati analisi dei flussi di cassa, le stime dello stato patrimoniale, la marginalità, e il conto economico atteso sotto vari scenari.
Il Pitch Deck, a differenza dell’executive summary, è un documento solitamente di poche pagine rivolto a potenziali investitori. E’ il documento iniziale che descrive la nostra business idea in maniera più stringata, sintetica, intuitiva e meno dettagliata rispetto al business plan.
E’ importante che il nostro progetto sia sostenibile sotto vari scenari e che tutti gli attori coinvolti abbiano ben presente il ventaglio di possibili risultati. Se inizialmente prevediamo un certo versamento da parte dei soci fondatori, consideriamo che questa cifra potrà sempre cambiare. Tutto ciò dovrebbe essere già previsto nel nostro business plan per non cogliere di sorpresa le varie parti nell’eventualità di un investimento maggiore. Allo stesso modo se sono stati accesi finanziamenti o fidi, assicuratevi di capire in quale circostanza potrebbero essere richiamati. Con risultati iniziali poco promettenti rischierete la richiesta di un rientro da parte del creditore. Se così fosse ed in mancanza di altre risorse proprie, questo determinerà la chiusura delle attività, e probabilmente, tutto ciò accadrà in corrispondenza del famoso “buco” massimo.
Concludiamo con un paio di considerazioni veloci sull’eventuale strategia di uscita. E’ vero, nessuno vuole fallire, ma sarebbe meglio essere sempre preparati a farlo. Il nostro business plan dovrà specificare sin dall’inizio cosa dovrebbe accadere nel caso di interruzione attività. Dovrà determinare se e come i soci fondatori avranno facoltà di tirarsi indietro o essere sostituiti, se i flussi di cassa richiederanno risorse aggiuntive, se ulteriori investitori potrebbero diluire le quote detenute inizialmente etc. etc.
Tutti questi scenari devono essere previsti sin dall’inizio per evitare litigi e brutte sorprese. Cercare finanziatori una volta raggiunto uno stato di difficoltà non sarà affatto facile e, molto probabilmente, ci costringerà a svendere una grossa quota della società a fronte di un apporto aggiuntivo molto ridotto, a causa della riduzione della valutazione complessiva dell’impresa rispetto agli investimenti iniziali. Spesso una valutazione surreale della nostra società, anche in un momento di difficoltà renderà impossibile reperire ulteriore finanze.
L’imprenditore innamorato della propria idea coprirà con le sue risorse per poi magari trovarsi a chiudere nel momento peggiore. E’ quindi palesemente opportuno concordare obbiettivi e strategie di uscita dal progetto nel caso in cui non si sviluppi come atteso. Se fossimo stati in grado di rimandare gli investimenti importanti in conto capitale, riducendo quindi l’outlay iniziale, potremmo limitare i danni. Qualora i risultati iniziali non confermino le potenzialità della nostra business idea, si potrebbe decidere di chiudere molto prima di arrivare al fatidico punto di massima esposizione, perché imitando i possibili danni potremmo anche valutare eventuali nuovi progetti. Ricordate che bruciare tutte le nostre risorse ciecamente in un progetto fallimentare ci lascerà incapacitati ad affrontarne di nuovi che, si spera, abbiano maggior successo.